Podcasts

  • S2 E1: With... Jenny Mitchell - Welcome back to Behind the Glass with this early-release first episode of series 2 ! Sam and new co-host Connie talk to prize-winning poet Jenny Mitchell...
    3 weeks ago

Sunday, April 24, 2022

Sunday, April 24, 2022 12:30 am by M. in , ,    No comments
A new article and a thesis:

Wide Sargasso Sea, Jean Rhys’s 1966 novel, positions itself as a prequel to Charlotte Brontë’s Jane Eyre that attempts to address a gap in the nineteenth-century narrative. Rhys superimposes the twentieth-century imperatives of postcolonial, gender, and feminist theories onto the historically revered — yet politically contested — space of Brontë’s novel. The re-visioning in Wide Sargasso Sea thus inscribes feminist and postcolonial concerns into the Victorian narrative and offers the text a renewed narrative conscience informed by the characters’ personal, cultural, and spatial experiences. From the contemporary vantage point of enforced isolation, Wide Sargasso Sea’s intricate engagement with the notion of space and mobility (or lack thereof) is accentuated. This paper identifies spatial confinement and consequent isolation as recurring and determinant factors in instituting the identity and selfhood of women. Drawing upon the theoretical framework crafted by Sandra Gilbert and Susan Gubar in their seminal text The Madwoman in the Attic: The Woman Writer and the Nineteenth-Century Literary Imagination, the present study identifies Antoinette as the product of the material and metaphorical confinement to which she is subjected. It constitutes confinement, as articulated in Wide Sargasso Sea, as the convergence of a triadic conception of the term and argues that Rhys’s depiction of Antoinette is centred on the character’s material entrapment and cultural isolation, which, in turn, are emblematic of the woman writer’s loneliness within a decidedly ‘masculine’ literary enterprise. This triadic formulation is articulated in this paper, first, by examining Antoinette’s physical engagement with space as a woman, before exploring the fundamental intersectionality of the experience as a result of her Creole identity. Finally, these feminist and postcolonial perspectives converge within the textual space, which becomes the ground where women enact their defiant revolts.

Giulia Barichello
Università degli studi di Padova., 2021

Il rapporto tra follia e genere è centrale nella letteratura dell’Ottocento e del Novecento e la rappresentazione del disagio psichico sembra essere una prerogativa della donna. Si riscontrano certamente casi di personaggi maschili affetti da disturbo mentale, ma i romanzi con protagonista una donna “pazza” o che impazzisce sono nettamente in maggioranza. Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di analizzare la relazione profonda tra genere e pazzia, con particolare attenzione alla figura di Bertha Antoinetta Mason, definita come la “madwoman in the attic” da Charlotte Brontë nel suo celeberrimo romanzo Jane Eyre. Celebrato dalla critica femminile come espressione in letteratura delle rivendicazioni di genere, Jane Eyre è stato oggetto di controversie e polemiche letture soprattutto alla luce della recente prospettiva teorica postcoloniale. In particolare, la costruzione della soggettività della protagonista Jane, intorno alla quale ruota il romanzo, è debitrice di cancellazioni e occultamenti di un’identità altra che si configura nel personaggio inquietante e problematico citato in precedenza, ovvero la prima moglie del signor Rochester. Bertha Mason, donna creola di origini caraibiche e affetta da un’incurabile pazzia, diviene così il simbolo di una perversa e temibile alterità destinata ad essere emarginata e infine soppressa. Nella cancellazione dell’alterità, che nel personaggio di Bertha somma la diversità di razza a quella di classe oltre che di genere, Jane individua la strada del successo: la sua identità si costruisce per opposizione con l’altra, che ne disturba la stabilità solo per giungere infine a confermarla. In quest’ottica, un secolo più tardi, la scrittrice britannica di origini caraibiche Jean Rhys, dona voce a questo controverso personaggio nel suo romanzo Wide Sargasso Sea (1966), presentandola a partire dalla sua giovinezza trascorsa in Giamaica fino al suo infelice matrimonio con un non specificato gentleman inglese, il quale la fa dichiarare pazza e la porta con sé in Inghilterra. Il testo di Brontë offre esigue informazioni circa il personaggio di Bertha, circondata da un’aura di mistero e paura. Nello specifico, la donna viene rinchiusa nell’attico di Thornfield Hall e in preda ad un attacco di follia dà fuoco al castello e si lancia dal tetto. Nell’ipertesto è senza dubbio rappresentata come una presenza femminile archetipa negativa, irrazionale, violenta, perversa e incapace di controllare i propri istinti. In aggiunta, il signor Rochester afferma di odiare la sua prima moglie (sposata per volere del padre) in quanto si tratta di una donna lasciva, lunatica e la biasima per aver tradito la sua fiducia non rivelandogli la follia della madre. Al contrario, nell’ipotesto, Jean Rhys crea un personaggio che incute pietà e non terrore, dal momento che Bertha non era affatto pazza, ma la sua condizione era il prodotto di tutto ciò che aveva dovuto subire fin dalla tenera età. Proiezione dei più profondi timori della società vittoriana, Bertha è vittima della follia, della sessualità incontrollata, della bestialità, tratti che Jane dovrà apprendere a tenere sotto controllo per acquisire una rispettabile identità. A dispetto della rappresentazione dicotomica dei due soggetti femminili, parte della critica ha ravvisato in Bertha una sorta di alter ego della protagonista, cosicché l’istinto e la follia che la caratterizzano si attestano come manifestazione esterna del rancore e delle passioni soffocate dell’altra. Pertanto, Bertha rappresenta la parte più vera e buia di Jane, espressione della rabbia repressa tanto dell’eroina, quanto della stessa scrittrice, entrambe vittime dell’oppressione patriarcale.

0 comments:

Post a Comment