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    1 month ago

Sunday, April 06, 2014

Sunday, April 06, 2014 12:30 am by M. in , ,    No comments
We suppose that when Tracy Chevalier was asked by the publishing house Neri Pozza Editore to make an introduction for a new Italian  translation by Monica Pareschi of Jane Eyre she couldn't imagine she would be at the centre of a bitter controversy.

La Repubblica published the introduction (as translated by Massimo Ortelio):
Io e Jane
Per quale motivo Jane Eyre è un classico? Perché quest’opera è tanto amata e costituisce uno dei tratti distintivi del panorama letterario britannico, accanto a
Grandi speranze di Dickens e Orgoglio e pregiudizio della Austen? Di fatto, il romanzo scritto da Charlotte Brontë nel diciannovesimo secolo si mantiene costantemente ai vertici delle classifiche di vendita. Non è mai andato fuori catalogo e vanta una trentina di adattamenti cinematografici e televisivi, oltre ad aver ispirato pièce teatrali, opere, musical e balletti. Viene studiato a scuola e non vi è chi non sia in grado di citare la sua frase più celebre (l’attacco dell’ultimo capitolo, ma non andate a leggerlo, se non volete scoprire “come va a finire”). Cos’ha di tanto attraente la storia di una povera orfanella che fa innamorare il suo sventurato datore di lavoro? (Read more) (Translation)
Clotilde Bertoni published an article on Le Parole e le Cose full of (exaggerated) indignation about some 'inaccuracies' and 'misleadings' that Tracy Chevalier said in the introduction. Accusing her, or nearly doing so, of not having read the book.
Tra le informazioni che Chevalier ci fornisce: dopo questo romanzo Charlotte Brontë ne scrisse altri, tra cui The Professor(lo scrisse prima, fu rifiutato); la principale, sconvolgente novità della storia è il matrimonio tra due persone di classi diverse (ci aveva pensato già, più di un secolo prima, un certo Richardson, con un libretto intitolato Pamela, se ne parlò); Jane da piccola subisce un trauma, la zia la rinchiude in una stanza per punire la sua caparbietà (il trauma c’è, ma la caparbietà non c’entra niente, viene accusata ingiustamente della lite con un cugino che l’ha picchiata); Rochester, il protagonista maschile, “dimostra” molti anni più di Jane, almeno quindici (in effetti ne “ha” molti di più davvero, e non quindici, ventidue), ed è “capo di una famiglia numerosa” (tutto il suo entourage consiste in: una governante, una bambina che forse è sua figlia naturale ma forse no, una “donna del mistero” – non ne sveliamo l’identità – con cui decisamente non è in buoni rapporti, un cognato che ricomparirà solo per rovinargli la vita, e un amatissimo cagnolino); nell’ultima parte Jane “è contornata da nuovi personaggi che non abbiamo il tempo di assimilare” (sono tre, proprio per allargarsi quattro, sono ampiamente descritti e messi in scena, il tempo per assimilarli c’è, beninteso sempre se c’è quello di arrivare alla fine del libro – che, oltretutto, è di dimensioni accettabili). (Translation)
The editor replied with (too much) virulence on its Facebook wall:
La malevolenza, l’atteggiamento, cioè, di ostilità e astio nei confronti di qualcuno o qualcosa, non è sempre un comportamento da rigettare, da condannare in nome di astratte buone maniere. Quando, ad esempio, Nabokov scrive di Hemingway: “A writer of books for boys… In mentality and emotion, hopelessly juvenile. Loathe his works about bells, balls, and bulls”, è terribilmente malevolo, ma, occorre dire, geniale nella sua malevolenza. Qui l’astio ruota attorno a qualcosa che appartiene profondamente al mondo di Hemingway, così effettivamente hopelessly juvenile.
Quella che è imperdonabile, di un risentimento che può suscitare soltanto commiserazione, è la malevolenza maldestra e goffa.
Un esempio di quest’ultimo tipo è l’articoletto di commento alla introduzione di Tracy Chevalier alla nostra edizione di Jane Eyre comparso su un blog, “Le parole e le cose”, e intitolato “Il massacro di Brontë. Torniamo ai classici, magari leggendoli”.
Le argomentazioni di questo articolo sono così goffe che occorrerebbe rivolgere all’autrice il suo stesso monito, vale a dire di “ritornare ai classici, magari leggendoli”, a partire appunto da Jane Eyre.
L’articolo commenta la versione dell’introduzione di Tracy Chevalier apparsa su Repubblica, versione inviata dal nostro ufficio stampa prima della pubblicazione dell’opera (gli uffici stampa, si sa, lavorano con largo anticipo) e perciò non pienamente corrispondente a quella rivista dallo stesso traduttore e pubblicata nel volume. Tuttavia, poiché non muta di molto nella sostanza, per mostrare la goffaggine dell’articolo ci atterremo qui alla versione del quotidiano. (Read more
Ms Bertoni was not conviced and replied (again quite bitterly) on Le Parole e le Cose. And more people are now entering in the controversy. We read yesterday on Barbadillo:
Mi chiedo – a parte un pacco di soldi alla Chevalier – davvero quella introduzione ha fatto del bene al classico di Brontë? E nessuno l’ha letta? O nessuno ha letto “Jane Eyre”? (Marco Ciriello) (Translation)

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