Un’Emily stralunata, dicevo, che fa uso di oppio, ha un tatuaggio sul braccio e ha rapporti fisici con il nuovo giovane curato del paese. Il quale, ad un certo punto, spaventato dal talento narrativo e conturbante della sua giovane amica, la lascia.
Veridicità o invenzione? DI certo riesce difficile immaginare che una fanciulla della severa epoca vittoriana avesse sì tanta libertà d’amare e di vivere, addirittura senza essere sposata, ma lo prendiamo per buono. In fondo, già Aristotele diceva che la poesia racconta l’universale, non il particolare. E questa “fiction” rievoca più l’universalità che la storicità, anche a costo di modernizzare Emily Bronte in modo estremo. Manca, però, una soundtrack pop alla Sofia Coppola, per questo il film rimane su toni ottocenteschi. (...)
Dal rapporto quasi morboso di Emily col di lei fratello alcolista (nel quale si riscontra la coppia Heatcliff-Catherine che ritroveremo in Cime Tempestose), al bussare incessante di Emily alla porta dell’amato Weightman ormai chiusa per sempre (che ricorda lo spirito di Cathy che, in Cime Tempestose grida “fammi entrare!”), il film si snoda su più piani, come quello, infine, biografico (la morte della madre, la supremazia della sorella Charlotte Bronte (quella di Jane Eyre), prescelta agli occhi del padre.
Un inizio troppo enfatico, con un rapporto troppo infantile che stona nelle fattezze adulte del volto squadrato della Mackey (una bellezza quasi anni ‘80, naturale) tra le sorelle. Ed un proseguimento molto, molto migliore del principio. (
Translation)
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